Né albicocca né dattero tanto
dolci mi sento veleggiare
lungo la lingua, quanto le due
sibilate parole Ora basta,
quando in faccia a qualche smorfiosa
le lascio uscire, libere, fiere
come i due cavalli di Achille
dal loro covile di porpora –
solo con te questo non mi riesce,
con te che pure sei piccola, scura,
pungente: un nocciolo d’oliva,
che ne ho sputati a dozzine, finora, incurante, sul muro, o nel fosso,
ma un tremore di te mi sta addosso,
il tuo sorriso impunito mi scarica
le batterie dell’orgoglio, mi umilia i furori
in petardi sottomarini,
in latitudini esangui mi esilia i canini,
mi fa incamerare la bile
come un confetto rosato, e tramuta
tutta la mia cicuta nel loto gigante che dondola
Vishnu attraverso l’Oceano di Latte…
Ahimé, già pronto è, temo. il mio epitaffio – e dice:
“Straniero, non andarlo a riferire agli Spartani,
ma qui giace un vigliacco felice.”